Questa la situazione delle carceri a sei mesi dallo scoppio della Covid 19. Il punto in occasione XXI Congresso Nazionale “L’Agorà Penitenziaria 2020”. Il progetto è partito negli istituti penitenziari di San Vittore a Milano, Sassari, Alghero, Civitavecchia, Genova, Salerno, Eboli, Vallo della Lucania.
“Ci sono voluti 30 anni per trovare una cura per sconfiggere l’Epatite C e speriamo che siano sufficienti pochi altri mesi per vincere la Covid-19, soprattutto in ambiti di estrema fragilità quali nostre le carceri, laddove si annida un cospicuo serbatoio di pazienti Hcv positivi”.
Questo il messaggio della Società Italiana di Malattie e Sanità nei Penitenziari (SIMSPe), che si candida come un punto di riferimento per nuove politiche e conferma il via al piano per la ricerca del “sommerso” dell’Epatite C in otto istituti italiani.
E in occasione del XXI Congresso Nazionale “L’Agorà Penitenziaria 2020” in corso a Roma, fa il punto a sei mesi dallo scoppio della pandemia sulla situazione psichiatrica e infettivologica delle carceri dove i trattamenti anti Hcv sono calati del 90%.
“Il Coronavirus si è per fortuna ad oggi affacciato in pochi Istituti ma non sono riportati eventi tragici al loro interno – evidenzia il Presidente SIMSPe Luciano Lucanìa – al centro del dibattito, come è naturale, vi sono tutte le situazioni che abbiamo vissuto in questi mesi terribili e le nostre esperienze, preziose per trovare le soluzioni migliori ai diversi problemi clinici, organizzativi e logistici che possono emergere in questo ambito. Tutte le nostre attività nell’ambito delle diverse discipline sono inserite nei topics di questa Agorà”.
“Come nella popolazione libera c’è stato uno stop nei trattamenti, anche nelle carceri vi è stato un rallentamento a cui adesso dobbiamo far fronte – evidenzia Sergio Babudieri, Direttore Scientifico di SIMSPe e referente del progetto in seno al gruppo di lavoro ministeriale – la metodologia applicata è basata su un approccio che prenda in esame le singole sezioni di ciascun penitenziario (una sezione abitualmente è composta da 60-70 detenuti circa)”.
Il progetto, spiega Babudieri è partito in otto carceri, trasversali alle diverse regioni (San Vittore a Milano, Sassari, Alghero, Civitavecchia, Genova, Salerno, Eboli, Vallo della Lucania) già prima della pandemia: “Abbiamo analizzato al 31 gennaio 2020 un campione di 2758 persone, distribuite in 46 sezioni detentive, di questi sono state analizzate le cartelle di 2173 soggetti, quindi il 78,8%, di cui la quasi totalità, 2038, il 93,8% ha eseguito i test anti Hcv: la prevalenza di Hcv è stata del 10,3%. L’aspettativa era che fossero viremici almeno 3 su 4, mentre siamo a meno della metà: ciò significa che in molti sono già stati avviati alla terapia nei Serd o nei centri specializzati, quindi anche nelle persone detenute si sta osservando una riduzione del numero dei malati come conseguenza dei trattamenti estesi avvenuti negli ultimi anni nella popolazione libera”.
La ricerca del “sommerso” dell’Epatite C riparte dai penitenziari. La pandemia ha interrotto il processo di eradicazione del virus nei pazienti affetti da Epatite C, con un decremento di circa il 90% dei trattamenti. Un peso che grava sul rallentamento già verificatosi nei primi mesi del 2020, quando emergevano le prime difficoltà nell’individuare i soggetti da trattare. L’innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) per il trattamento dell’epatite C ha avuto una portata rivoluzionaria per la possibilità di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ma una volta trattati i pazienti conclamanti, restano fuori coloro che sono ignari di aver contratto il virus, il cosiddetto “sommerso”. Per questo, sottolinea la SIMSPe, è necessaria una vera politica di screening, che riguardi in primis le cosiddette “key populations”, come tossicodipendenti e detenuti, e l’emendamento al Decreto Milleproroghe approvato lo scorso febbraio ha stanziato un fondo di 71,5 milioni di euro per il biennio 2020-2021 per l’accesso gratuito allo screening, ma necessita di un’applicazione entro l’anno.
Le analogie con l’Hiv. Il processo in corso ricorda quanto già avviato da alcuni anni per l’Hiv, virus che a differenza dell’Hcv non si può eradicare ma solo controllare impedendone la replicazione e azzerando la viremia fino a renderlo non trasmissibile. “Si sta verificando ciò che è avvenuto anche per l’HIV – spiega Babudieri – nel 2001 l’8,4% dei detenuti erano positivi, nel 2005 il 7,5%, nel 2008 il 7,3%, nel 2010 il 6,2%, nel 2012 il 5,2%, nel 2015 il 3,1%, ora siamo intorno all’1,8%: non sono diminuiti i comportamenti a rischio, ma i trattamenti che azzerano la viremia ematica riducono anche la possibilità di trasmissione, quindi restano quasi solo i vecchi positivi. Questo ci dice che quando si interviene nella cura di una malattia su un singolo si hanno effetti su tutta una popolazione. Il fatto che metà delle persone detenute positive al test HCV sia guarito dal virus grazie ai trattamenti risolutivi e ai farmaci DAA significa che il numero si sta riducendo e, conseguentemente, che si restringe il serbatoio dei malati che possono trasmettere il virus”.
Fonte: quotidianosanita.it