L’infezione cronica causata dal virus dell’Epatite C (HCV) rappresenta in Italia e nel mondo una delle principali cause di morbosità e mortalità correlate a malattie del fegato, con una incidenza dell’1%, pari a circa 500mila italiani.
Nel febbraio 2020, il Governo ha stanziato 71,5milioni di euro in via sperimentale, per gli anni 2020 e 2021, per garantire uno screening gratuito per l’infezione da Epatite C. Solo alcune Regioni italiane hanno a oggi deliberato un protocollo operativo per lo screening HCV. Avviare un confronto aperto tra gli stakeholder chiave – clinici, istituzioni, associazioni pazienti – sull’epatite C per condividere elementi fondamentali e ruoli nell’organizzazione dello screening di popolazione, nell’ottica di contribuire ad uno sviluppo efficace ed efficiente dei piani regionali, per approfondire strumenti e piani di diagnosi e prevenzione per combattere l’HCV.
Questi gli obiettivi del convegno Screening di Popolazione per Combattere l’HCV, svoltosi il 22 luglio 2022 presso la Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
L’infezione cronica causata dal virus dell’Epatite C rappresenta infatti in Italia e nel mondo una delle principali cause di morbosità e mortalità correlate a malattie del fegato. In Italia, dagli studi disponibili, è possibile stimare una prevalenza dell’HCV pari all’1% della popolazione (circa 500mila italiani), con una maggior incidenza nelle classi di età più avanzate (a partire dai 65 anni).
Inoltre, si calcola che vi siano circa 250-300mila infezioni “sommerse”, inclusi i soggetti che hanno contratto l’infezione tramite fattori di rischio non evidenti, ad esempio interventi chirurgici o odontoiatrici.
Il tema dell’eradicazione dell’HCV si inserisce nel quadro più generale della lotta alla diffusione delle epatiti virali, come da indicazioni dell’OMS. “L’eradicazione dell’epatite virale C è una delle più grandi sfide sanitarie attuali perché, se la patologia non viene precocemente diagnosticata e trattata, ha un’evoluzione inesorabile verso la cronicità, influendo significativamente sulla qualità di vita dei pazienti”, dichiara Antonio Tomassini, presidente Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione. “In Italia, la diffusione dell’epatite C non è omogenea: alcune Regioni, tra cui il Lazio, registrano concentrazioni endemiche del virus molto elevate. Inoltre, la pandemia causata dal Covid-19 ha diminuito gli screening e quindi la possibilità di diagnosi precoce della malattia e ha abbassato il livello di attenzione verso la patologia. L’obiettivo principale del Convegno organizzato oggi è quello di valutare e dare il via a percorsi di prevenzione mirati alla diagnosi precoce, ridurre i tempi di accesso alle cure e agevolare i flussi informativi per i pazienti.”
Per ridurre il “sommerso”, cioè quella parte di popolazione portatrice del virus ma non ancora individuata, e migliorare l’accesso alle terapie, nel febbraio 2020, il Governo ha stanziato 71,5milioni di euro in via sperimentale, per il biennio 2020-21, al fine di garantire uno screening gratuito per l’infezione da Epatite C, coinvolgendo la coorte dei pazienti nati tra il 1969 e il 1989, quelli seguiti dai Servizi Pubblici per le Dipendenze (SerD) e i detenuti in carcere, indipendentemente dalla coorte di nascita e dalla nazionalità. Tuttavia, i temi della sensibilizzazione, organizzazione dei percorsi di cura e prevenzione, nonché il miglioramento dei flussi informativi, rimangono ancora gli elementi chiave del dibattito, sui quali è necessario un intervento omogeneo e coordinato.
“Prima dell’avvento della pandemia, l’Italia rappresentava uno dei nove Paesi al mondo in grado di raggiungere gli obiettivi dettati dall’OMS, sia per quanto riguarda il trattamento della patologia ma anche per l’attività di screening. In questo scenario si colloca lo stanziamento di oltre 70milioni da parte del Governo”, afferma Massimo Andreoni, direttore scientifico SIMIT, professore di Malattie Infettive Università di Roma Tor Vergata. “In questi ultimi 2 anni, le Regioni si sono impegnate ad attuare quanto emanato, tuttavia le campagne di screening sulla popolazione sono state sporadiche e con una moderata efficacia sostanziale.”
Nonostante il fondo sperimentale stanziato, le attività di screening hanno subìto un forte ritardo dovuto alla pandemia da Covid-19. “Solo alcune Regioni hanno avviato procedure operative di screening per l’HCV sulla popolazione generale e popolazioni chiave, nonostante questo rappresenti l’unico strumento altamente costo-efficace per scoprire il ‘sommerso’ e per raggiungere l’obiettivo dell’OMS di eliminazione dell’epatite C”, dichiara Loreta Kondili, ricercatrice presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità e responsabile della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti Virali PITER. “Per eliminare l’HCV, un virus oncogeno responsabile di circa il 70% degli epatocarcinomi in Italia, è indispensabile attuare in tutte le Regioni un piano di screening con metodi organizzativi più efficienti e reattivi basato su adeguata sensibilizzazione e comunicazione della popolazione e del personale sanitario sia per il controllo di malattia che per la riduzione delle infezioni.”
Ad oggi, infatti, soltanto Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Molise, Abruzzo, Basilicata e Valle d’Aosta hanno avviato procedure operative di screening HCV. Altre Regioni, come il Lazio, attualmente hanno solo adottato una delibera regionale per implementare il programma di screening, nonostante la lotta contro l’HCV rappresenti una sfida attuale per tutti i Sistemi Sanitari Regionali. Ad esempio, nella Regione Lazio, si stima la presenza di circa 53.300 pazienti con infezione cronica da HCV attiva ancora non trattati con terapia antivirale (prevalenza 0,9%), di cui circa 35.800 con infezione cronica ancora da diagnosticare potenzialmente asintomatici, e 17.500 in uno stadio di fibrosi avanzata sintomatici ma che ancora non hanno eradicato la patologia.
È quindi indispensabile avviare tempestivamente delle procedure efficienti su tutto il territorio nazionale, favorendo un’anticipazione diagnostica attraverso un percorso di screening organizzato, in linea con quanto stabilito dal Decreto attuativo sullo Screening HCV, e una tempestiva presa in carico delle persone positive per l’avvio di un adeguato trattamento.
“Esistono varie tipologie di test che consentono la ricerca degli anticorpi Anti-HCV (HCV Ab) in diversi campioni biologici: prelievo venoso, sangue capillare, saliva. Nel Decreto attuativo sullo Screening HCV, per la coorte dei pazienti nati tra il 1969 e il 1989, in caso di positività al test sierologico di screening, utilizzando lo stesso campione, si può verificare la presenza dell’agente patogeno mediante la ricerca o dell’antigene HCV (HCV-Ag) o del genoma del virus con il test molecolare HCV RNA PCR.
Questo consente di avere risultati in tempi molto rapidi, ed in caso di positività, indirizzare i soggetti ai centri specialistici per completare il percorso diagnostico a cui farà seguito il trattamento terapeutico”, spiega Sandro Grelli, prof. di Microbiologia Clinica Università di Roma Tor Vergata. “Per i soggetti seguiti dai servizi pubblici per le dipendenze (SerD) e per i soggetti detenuti lo screening potrà prevedere o la ricerca degli anticorpi Anti-HCV o in alternativa un test molecolare rapido di facile esecuzione, HCV RNA PCR su prelievo capillare, utilizzando un POCT (point of care test). In caso di positività al test molecolare, dovrà essere completato il percorso diagnostico e successivamente quello terapeutico sotto il monitoraggio degli specialisti del settore.”
La crisi sanitaria globale causata da Covid-19 ha di sicuro complicato la lotta contro le altre malattie e la loro prevenzione. Dai dati nazionali emerge infatti una drastica riduzione delle attività ambulatoriali di epatologia e una riduzione dell’erogazione dei relativi trattamenti antivirali.
“La pandemia purtroppo non è finita e, al fine di prevenire ulteriori rallentamenti causati da nuove ondate di varianti virali, è necessario prevedere un allargamento ad ulteriori canali di screening anche al di fuori delle strutture pubbliche come, ad esempio, le farmacie e/o laboratori convenzionati privati. Se non ci dotiamo di un piano alternativo, lo screening si potrebbe bloccare e, in alcune Regioni, potrebbe anche non iniziare”, afferma Ivan Gardini, presidente nazionale EpaC.
“Infatti, solo il 30% delle Regioni è partito con uno screening attivo sulla popolazione generale, quindi è evidente che la deadline fissata per il termine dello screening sperimentale al 31 dicembre 2022 è inadeguata e va posticipata almeno a dicembre 2023. Infine, va anche ampliata la platea di popolazione generale coinvolta nello screening, quantomeno la fascia di popolazione più anziana (a partire dai 50 anni) poiché – proprio in quella fascia di popolazione – si annida la maggior parte delle infezioni occulte, così come le malattie più avanzate. Per questo motivo, EpaC ha richiesto alla Commissione di Valutazione dei LEA l’introduzione di test gratuiti per l’epatite C in tutta la popolazione maggiorenne, iniziativa in linea con la strategia OMS di eliminazione dell’infezione da epatite C.”
Al convegno hanno partecipato Annamaria Parente, presidente XII Commissione Permanente del Senato della Repubblica; Antonio Tomassini, Associazione d’Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione; Massimo Andreoni, direttore scientifico SIMIT e Prof. di Malattie Infettive Università di Roma Tor Vergata; Loreta Kondili, medico ricercatore presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità e responsabile della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti Virali PITER; Gian Paolo Castelli, Direzione Salute e Integrazione sociosanitaria – Area Promozione della Salute e Prevenzione Regione Lazio; Sandro Grelli, prof. di Microbiologia Clinica Università di Roma Tor Vergata; Ivan Gardini, presidente nazionale EpaC; Fabio Valente, vice segretario vicario Fimmg Roma; Sergio Babudieri, direttore scientifico SIMSPe Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria; Claudio Leonardi, presidente SIPaD Società Italiana Patologie da Dipendenze; Paola Boldrini, vice presidente XII Commissione Igiene e Sanità, Senato; Maria Teresa Baldini, componente XII Commissione Affari Sociali, Camera; Rossana Boldi, vice presidente XII Commissione Affari Sociali, Camera; Marcello Gemmato, segretario della XII Commissione Affari Sociali, camera; Vito De Filippo, sottosegretario di Stato al Ministero della Salute e componente XII Commissione Affari Sociali, Camera; Antonio Aurigemma, componente VII Commissione Sanità, politiche sociali, integrazione sociosanitaria, welfare Regione Lazio.
Fonte: clicmedicina.it