Implementare strategie di diagnosi precoce e screening per l’epatite C.
È l’appello che il mondo scientifico lancia a fronte dei dati forniti dall’OMS che confermano quanto il percorso di eradicazione del virus sia ancora lungo. Ammontano infatti a oltre un milione i decessi che ogni anno avvengono nel mondo a seguito di una malattia epatica, a cui si aggiungono le 700mila per infezione di HIV/AIDS.
Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, le epatiti virali rappresentano ancora oggi uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale. I numeri aggiornati al 2020 dicono che 325 milioni di persone nel mondo vivono con un’infezione cronica da epatite B o C e 1.300 muoiono ogni anno a causa delle complicazioni a livello epatico causate dalle infezioni.
A livello globale, circa 71 milioni di soggetti sono portatori cronici del virus dell’epatite C (HCV): la stima è che nel 2016 siano morte 399 mila persone per malattie epatiche correlate a questo virus. L’HCV è un virus a trasmissione ematica: i modi più comuni di infezione sono attraverso l’uso di droghe per iniezione, esposizione a procedure diagnostiche o terapeutiche non sicure, trasfusioni di sangue e prodotti ematici non screenati, pratiche sessuali che portano all’esposizione al sangue. È possibile una trasmissione per via sessuale o verticale (da madre infetta a figlio), ma sono vie meno comuni.
L’HCV è presente in tutte le regioni dell’OMS. Il più alto carico di malattia è nella regione del Mediterraneo orientale e in quella europea, con 12 milioni di persone cronicamente infette in ciascuna. Nel Sud-Est asiatico e nel Pacifico occidentale, si stima che 10 milioni di persone in ogni regione siano cronicamente infette. Nove milioni sono invece le infezioni croniche in Africa e 5 milioni nelle Americhe.
Di fronte a questo scenario diventa quindi inevitabile implementare strategie di diagnosi precoce e screening per l’epatite C. Ma qual è la situazione nel nostro Paese? In Italia, quasi 300mila persone non sanno di avere l’HCV, in base alle stime presentate a fine 2021 dalla SIMIT (la Società italiana di malattie infettive e tropicali). Pur essendovi oggi diverse cure per il trattamento del virus, il problema con cui ancora occorre fare i conti è quello relativo al “sommerso”, quel bacino di pazienti cioè che, complice anche l’assenza di sintomi della patologia, non sanno di essere positivi.
Il programma di screening nazionale va proprio in questa direzione, in particolare per cercare di individuare l’HCV nelle carceri o nei Serd in quella fascia d’età sopra ai 50 anni che, nel primo periodo dell’epidemia nel nostro Paese, si era già infettata. Oggi, grazie ai farmaci che si hanno a disposizione, l’epatite C è una forma dalla quale si può guarire entro poche settimane senza effetti collaterali. Che si sia trattato di droghe, tatuaggi o altri fattori di rischio, scoprire i soggetti positivi inconsapevoli rappresenta la sfida da vincere, per cercare di eradicare il virus rispettando i tempi indicati dall’OMS.
Proprio nei giorni scorsi l’AOU di Sassari ed Emergency hanno annunciato di aver messo in campo un progetto integrato contro l’epatite C. In base a questo accordo, a partire dai prossimi mesi verrà effettuato uno screening rapido su oltre 500 pazienti, attraverso un tampone salivare, che si concluderà a dicembre: un programma di prevenzione nel quale saranno coinvolte anche le unità operative di Medicina interna, Gastroenterologia, Microbiologia e Virologia per effettuare ulteriori analisi in caso di positività del tampone stesso.
Fonte: Epateam