In occasione della Giornata Mondiale delle Epatiti promossa dall’OMS, è stato oggi ribadita l’importanza di riprendere i trattamenti per le epatiti virali e guardare oltre il COVID-19. La tavola rotonda online, dal titolo “HBV e HCV. Quale ruolo potrà ricoprire l’Italia? Tra cronaca, attualità e aggiornamento, ipotesi e aspettative concrete di politica sanitaria e ricerca medico scientifica”, ha coinvolto istituzioni, società scientifiche, clinici, associazioni dei pazienti, mondo dell’impresa per aggiornare le strategie della ripartenza, riattivare screening e trattamenti per combattere Epatite B e C. “Stentano ancora a riprendere i trattamenti per l’Epatite C con il ritmo precedente, dopo il lockdown si mantiene una riduzione di oltre il 90%. Occorre ripartire in autunno, abbinando un’azione incisiva per la ricerca del sommerso” sottolinea il prof. Massimo Galli, Past President SIMIT, Professore Ordinario Malattie Infettive, Università degli Studi di Milano, ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano.
Domani, come ogni anno, si celebra la Giornata Mondiale delle Epatiti promossa dall’OMS. Un’occasione importante per fare il punto sulla lotta a questi altri virus, ben conosciuti da oltre 30 anni e potenzialmente curabili. Quest’anno il contesto è mutato e gran parte dell’umanità è impegnata nella lotta alla pandemia da Sars-Cov-2.
L’attenzione dei clinici è come sempre rivolta alle Epatiti B e C che possono avere effetti particolarmente gravi, talvolta letali, e vengono considerate una minaccia per la salute pubblica, in quanto se cronicizzano, provocano complicanze nel tempo anche fatali come la cirrosi e il tumore epatico.
Tuttavia, l’epatite B può essere prevenuta con il vaccino e l’epatite C curata con farmaci efficaci e risolutivi. Per questo l’OMS ha fissato l’obiettivo di eliminazione dell’Epatite C entro il 2030, un risultato forse ancora possibile soprattutto grazie all’innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali.
Gli sforzi di questi ultimi mesi per fronteggiare la Covid-19 hanno lasciato indietro terapie, prevenzione e diagnostica di tante patologie, mettendo anche in discussione quanto fatto dall’Italia nell’eliminazione dell’Epatite C. Nella tavola rotonda, organizzata da Aristea, con il contributo non condizionato di Gilead Sciences, si è cercato di recuperare l’attenzione sul tema,
Epatite C, dal freno della pandemia all’importanza di ripartire
Prima del lockdown, l’Italia aveva discrete possibilità di perseguire l’obiettivo posto dall’OMS di eliminazione dell’Epatite C entro il 2030, pur avendo già un serio problema, rappresentato dalla riduzione di accessi alla terapia con farmaci ad azione diretta dovuta alla mancata azione per l’emersione del “sommerso”, valutato ancora in centinaia di migliaia di persone, a cui si aggiungono i soggetti che, pur consapevoli del loro stato infetto, non hanno ancora potuto o voluto accedere alle terapie.
“Bisogna lavorare sull’adesione allo screening e ci stiamo attivando come ISS con le società scientifiche. Visto che se lavoriamo bene potremo risparmiare 63 milioni di spese su 1000 pazienti trattati in 20 anni. Bisogna dedicare un fondo ad hoc per il trattamento e disegnare dei modelli di cura diversi da quelli precedenti. Il centro del trattamento deve essere la medicina del territorio e non più l’Ospedale, vanno quindi inclusi gli MMG e semplificare il percorso di cura. E’ necessario inoltre aumentare il linkage to care di che è stato diagnosticato ma non ancora avviato al trattamento” evidenzia la dott.ssa Loreta Kondili – Ricercatore Medico, Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità
“Riprendere il processo di eradicazione dell’Epatite C significa non solo riprendere l’attività di assistenza, ma anche l’impegno volto a favorire l’emersione del sommerso e la veicolazione al trattamento delle persone con infezione attiva da HCV – sottolinea il prof. Massimo Galli.
“Dopo una riduzione di oltre il 90% durante il lockdown, i trattamenti stentano ancora a riprendere con il ritmo precedente, nonostante siano passati quasi 3 mesi dal 4 maggio, considerato l’inizio della Fase 2. Inoltre, la stagione estiva non è favorevole a una rapida ripresa: il personale sanitario è molto provato da quanto accaduto in questi mesi e, in previsione anche di un autunno non facile, dovrà pure prendersi una pausa. Bisogna lavorare affinché si riparta in autunno, abbinando anche un’azione incisiva per la ricerca del sommerso”.
“Non abbiamo più un problema di farmaci e gli sforzi devono essere fatti nell’emersione del sommerso. In questo momento che si parla di sieroprevalenza pensando al SarCov2, una priorità sarebbe avere dei decreti attuativi per come spendere i soldi del decreto Mille Proroghe e dei criteri di screening, quindi mettere sul campo strategie per l’emersione del sommerso” commenta il prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT, Professore Ordinario di Malattie Infettive, Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
“In Italia esiste ancora il sommerso ma non abbiamo fatto grandi sforzi prima dell’inizio della pandemia. Apprendiamo adesso che sono pronti i decreti attuativi per la screening per fasce di età. rimangono però fasce di popolazione come carcerati en chi fa uso parenterale di droghe e difficili da controllare.
È importante anche perseguire il concetto di microeliminazione e quindi trovare nel proprio territorio i migliori metodi di screening in tal senso va affrontato ogni tipo di sforzo. Ci sono tante microrealtà diverse e anche modi diversi di usare i test, come i test gratuiti attraverso farmacie o i test salivari che anche se con sensibilità ridotta hanno grande facilità di uso.
È fondamentale semplificare la prescrivibilità del trattamento, se siamo rapidi come diagnosi possiamo semplificare l’accesso al trattamento e possiamo far prescrivere i farmaci non solo da alcuni specialisti coinvolgendo il territorio con un maggior numero di postazioni per ottenere il trattamento in modo da facilitare anche la logistica. Il COVID deve spingere a una profonda deospedalizzazione di molte delle cure” sottolinea il prof. Antonio Craxì, Professore Ordinario Gastroenterologia, Università degli Studi di Palermo.
“Per arrivare più facilmente a tutta la popolazione potremmo utilizzare le sedute di vaccinazione stagionale per valutare le persone riguardo l’infezione da SarCov2 e da HCV” propone il prof. Massimo Galli.
“La medicina generale è stata spesso chiamata in campo per l’eliminazione dell’HCV precisa Ignazio Grattagliano, Coordinatore SIMG Puglia che aggiunge: “Abbiamo bisogno di una stretta interazione attivata sia a livello centrale che periferico; le regioni devono attuare i percorsi in fase di designazione.
Come medina territoriale intendo carceri, SerT e ovviamente la medicina generale. Stiamo per pubblicare dei dati che parlano di uno 0.62% di persone della popolazione generale portatrice del virus C in fase acuta, prevalentemente di sesso maschile e con età avanzata, di cui però solo il 53-55% viene riferito ai centri specialistici”.
“Sarebbe ora di coinvolgere il Ministero dell’Istruzione perché le persone vanno sensibilizzate fin da piccole, a scuola, sull’importanza dei vaccini e sulla loro sicurezza” aggiunge Ivan Gardini, presidente EpaC onlus.
Ci sono diversi strumenti che sono stati messi in campo nella lotta all’HCV e arriveranno altri come il test salivare che entro fine anno sarà approvato a livello CE; in quest’ultimo caso però servirà indirizzare i pazienti che faranno questi test in farmacia.
Inoltre, ogni regione deve realizzare concretamente i piani di eliminazione perché ci sono tante idee e progetti ma vanno applicati. Ci vuole la volontà politica di attuare un Piano di eliminazione che è stato molto sentito dall’ex Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ma oggi non vediamo più coordinazione e attenzione”
Altro ambito sul quale bisognerà maggiormente focalizzare l’attenzione con l’obiettivo eliminazione, sono gli istituti penitenziari. “Quello delle carceri è un ambito che la sanità pubblica deve imparare a sfruttare, in quanto al suo interno ci sono ben il 10-15% di persone HCV positive e quindi ogni anno potrebbero essere diagnosticate 10-15 mila persone con HCV. Servirebbe dunque un osservatorio privilegiato proprio per le carceri” commenta il prof. Sergio Babudieri, Direttore Scientifico SIMSPe.
Il contributo istituzionale con adeguate politiche sanitarie
“L’obiettivo dell’OMS è ancora raggiungibile – dichiara il Viceministro della Salute Pierpaolo Sileri – L’Italia è tra i Paesi che finora ha fatto meglio e siamo anche diventati un esempio per altri. Dobbiamo perseguire un importante margine di miglioramento: l’applicazione di una diagnostica più ampia per trovare il “sommerso”. Solo così potremo diventare un modello d’eccellenza e un vero e proprio faro per gli altri”.
“L’epatite C è un classico esempio di come la ricerca abbia potuto fare tantissimo per sconfiggere una piaga cronica – ha aggiunto il Prof. Giovanni Rezza – Per far emergere il “sommerso” dobbiamo studiare a fondo le cosiddette Key Populations, le popolazioni speciali, quali detenuti, tossicodipendenti, migranti, che risultano maggiormente colpite. Il 2030 è vicino e la recente emergenza ha rallentato i progressi realizzati, ma stiamo lavorando affinché gli impegni avviati vengano presto ripresi”.
La situazione dell’Epatite B
La Giornata del 28 luglio fornisce lo spunto per affrontare anche la situazione relativa alle altre epatiti. La pandemia, infatti, ha colpito ogni ambito e ha reso meno efficienti anche gli interventi di trattamento e, forse, l’estensione delle procedure vaccinali per l’Epatite B.
Per combattere questa malattia è disponibile anzitutto un efficace vaccino, a cui si aggiungono discreti strumenti terapeutici. “Bisogna continuare a garantire un’ampia copertura vaccinale, risollevando gli interventi dopo il colpo subito dal sistema sanitario con la pandemia – spiega il Prof. Galli – e riallacciare i rapporti con i pazienti, che spesso sono in terapia cronica con antivirali, garantendo il mantenimento in cura”.
Attenzione anche per le epatiti A ed E
Se HCV e HBV rappresentano minacce incombenti e su cui è necessario un impegno profondo e immediato, gli specialisti mantengono alta l’attenzione anche sulle Epatiti A ed E. Dal 1 gennaio al 31 dicembre 2019 il SEIEVA – il Sistema Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute coordinato dall’ISS – ha registrato una riduzione dell’incidenza dell’epatite A rispetto al 2018. Anche i primi approcci di quest’anno rilevano l’assenza di recrudescenza per questa malattia, che, peraltro, non cronicizza mai.
Anche l’Epatite E è una malattia virale acuta, generalmente autolimitante e molto raramente soggetta a cronicizzazione, con caratteristiche cliniche simili a quelle dell’epatite A. Si stima che 1/3 della popolazione mondiale sia stata esposta al virus e che ogni anno 20 milioni di persone acquisiscano l’infezione, con almeno 600 mila decessi ogni anno. In Italia, negli anni 2007-2018 si è assistito ad un trend in continuo aumento dei casi di epatite E segnalati al SEIEVA. Nel corso del 2019 si è raggiunto un vero e proprio picco con un numero di casi raddoppiato rispetto all’anno precedente (98 casi rispetto ai 49 del 2018).
Questo incremento costituisce un campanello d’allarme e impone un monitoraggio attento dell’andamento nei prossimi mesi. “Il virus dell’Epatite E sta acquisendo nuova importanza: è esagerato definirla una minaccia, ma la malattia si sta dimostrando meritevole di attenzione. Recentemente un ceppo di questo virus tipico dei ratti si è dimostrato in grado di causare almeno una decina di infezioni nell’uomo in Hong Kong, un ulteriore segnale, come se ne mancassero, che lo scrigno di Pandora è sempre colmo e pronto a riservar sorprese” conclude il Prof. Galli.
Fonte: pharmastar.it