Non esistendo un vaccino contro questa patologia, lo screening è fondamentale. Se è scoperta in tempo, la malattia si cura in poche settimane; se lasciata progredire può portare a cirrosi e tumore al fegato
L’epatite C è un’infezione virale che può restare latente per molto tempo, compromettendo lentamente il fegato. Nella maggior parte dei casi la malattia è asintomatica (o dà sintomi aspecifici come stanchezza e difficoltà digestiva) per 10-20 anni, fino alle sue fasi più avanzate (cirrosi e insufficienza epatica). «Il test di screening è l’unico strumento per scovare i casi sommersi, quelli ancora non diagnosticati, che secondo le stime in Italia sono circa 300 mila, e limitare di conseguenza i contagi e le nuove infezioni» spiega Massimo Andreoni, ordinario di Malattie infettive all’università Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di Malattie infettive e tropicali. Il programma di screening nazionale gratuito, avviato nel 2022 grazie a un fondo ad hoc, è stato prorogato fino alla fine del 2024 con un’intesa Stato-Regioni dello scorso dicembre.
Lo screening nazionale gratuito
Lo screening è rivolto ai nati dal 1969 al 1989, oltre che agli utenti dei Servizi per le dipendenze (Serd) e ai detenuti in carcere indipendentemente dall’anno di nascita. Il ministero della Salute sta lavorando anche per un allargamento alle generazioni nate tra il 1948 e il 1968. Ma in alcune Regioni la campagna di prevenzione è tuttora in attesa di partire (Sardegna, Puglia, Abruzzo e Calabria) o è partita solo per detenuti e utenti Serd (Trento, Sicilia, Valle D’Aosta).
Non esistendo un vaccino contro l’epatite C, lo screening è fondamentale: «Se si scopre in tempo la malattia è possibile curarla, evitando lo sviluppo di gravi complicanze e il ricorso al trapianto, con una riduzione dei decessi e notevoli risparmi per la sanità pubblica — chiarisce Andreoni —. Solo con lo screening, inoltre, è possibile raggiungere l’obiettivo di eliminare il virus Hcv fissato entro il 2030 dalla strategia dell’Organizzazione mondiale della sanità a cui l’Italia ha aderito».
Come partecipare allo screening
L’Asl può inviare l’invito a partecipare al test tramite lettera per posta ordinaria, sms su cellulare o Fascicolo sanitario elettronico, in base all’organizzazione regionale. Nell’invito in genere sono indicate le strutture a cui rivolgersi. Anche chi non lo riceve può comunque recarsi al centro prelievi della propria azienda sanitaria (o nelle sedi delle associazioni di volontariato aderenti alla campagna) e richiedere l’esecuzione gratuita del test. Non è sempre richiesto prenotarsi e non serve la ricetta medica. Le modalità di screening proposte per la ricerca degli anticorpi anti-Hcv (il virus responsabile della malattia) prelievo di sangue standard o pungidito (prelievo di una goccia di sangue dal dito). L’esame può essere offerto anche in occasione di altre indagini di laboratorio o durante un ricovero ospedaliero.
«In caso di positività verrà effettuato un ulteriore test di conferma per identificare l’Rna virale. Se la persona ha un’infezione attiva verrà indirizzata al centro specialistico di riferimento per iniziare la cura. È buona regola — ricorda Alessandro Rossi, medico di famiglia presidente della Società italiana di medicina generale — sottoporsi sempre a un test per l’epatite C in caso di livelli alti di transaminasi, enzimi che se superiori alla norma possono indicare infiammazione o danno delle cellule del fegato».
La terapia contro l’epatite C
L’infezione da Hcv quando cronicizza, se non trattata, provoca una fibrosi epatica che va incontro a cirrosi, una condizione che può portare a un’insufficienza della funzione epatica e al rischio di sviluppare un carcinoma al fegato. Possono insorgere anche complicazioni collaterali, come insufficienza renale, linfomi, diabete, disturbi cognitivi e cardiovascolari. «Prima si inizia la terapia e meno danni ci sono. Il trattamento dura 8-12 settimane. Ma se la cirrosi è già molto avanzata, l’unica soluzione è il trapianto» puntualizza Andreoni.
Come si trasmette il virus dell’epatite C
Il virus dell’epatite C si trasmette principalmente per via parenterale, ossia attraverso mezzi di contagio di sangue infetto. «Si tratta soprattutto di aghi e siringhe che vengono scambiati per l’iniezione di droghe e di altri strumenti riutilizzati per sciogliere e inalare sostanze in polvere dal naso, le cui mucose possono presentare microlesioni con conseguenti residui di sangue, anche invisibili — chiarisce Massimo Andreoni, ordinario di Malattie infettive all’università Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali —. Un tempo la trasmissione del virus avveniva anche attraverso trasfusioni da donatori infetti e interventi sanitari invasivi non sterili, un fenomeno che oggi grazie ai controlli si è quasi azzerato. Veicolo di contagio possono essere anche gli strumenti per manicure e pedicure e quelli per effettuare tatuaggi e piercing, quando si usano attrezzature non sterilizzate».
I sintomi dell’epatite C
Più raramente sono possibili la trasmissione tra familiari conviventi, attraverso la condivisione di forbici, rasoi e spazzolini, quella per via sessuale e quella per via verticale da madre a figlio. «Le categorie più esposte al rischio di contagio sono le persone tossicodipendenti, quelle che hanno altre infezioni concomitanti, per esempio da Hiv o da altri tipi di epatiti, gli immunodepressi e i conviventi di persone con Hcv» chiarisce Andreoni. Una volta contratta l’infezione «nel 30 per cento dei casi si risolve spontaneamente ma nel restante 70 per cento il virus resta attivo e provoca un danno lento e progressivo al fegato — evidenzia Alessandro Bartoloni, ordinario di Infettivologia all’università di Firenze —. I sintomi di esordio, quando presenti, si manifestano dopo un periodo di incubazione che varia da 2 settimane a
6 mesi, e consistono in stanchezza, inappetenza, nausea, lieve innalzamento della temperatura corporea, dolori addominali, ittero e urine scure. In questi casi è bene rivolgersi al proprio medico di famiglia per indagare le possibili cause».
In Italia 400mila persone infette e la metà non ne è consapevole
Al 30 giugno 2023, riferisce il ministero della Salute, grazie alla campagna screening nazionale partita nel 2022 sono state sottoposte al test per l’epatite C 966.498 persone e identificati circa 10 mila casi di infezione attiva, di cui: 1.302 tra i nati dal 1969 al 1989, 7.029 tra gli utenti dei Serd e 1.650 tra i detenuti. L’Oms calcola nel mondo 58 milioni di persone affette da epatite C cronica, di cui 14 in Europa, e circa 1,5 di nuovi casi di infezione all’anno. Nel nostro Paese l’incidenza di nuovi casi di Hcv sintomatica che arrivano alla diagnosi è intorno agli 0,1 ogni 100 mila abitanti. Ma ci sarebbero almeno 400mila soggetti infetti secondo le stime più recenti: di questi oltre la metà (circa 287mila) non sono consapevoli di avere la malattia e non hanno sintomi (il «sommerso» non diagnosticato) e 100 mila persone pressapoco avrebbero già una fibrosi epatica (causata dal virus Hcv) in stadio molto avanzato.
Fonte: corriere.it