“Il target è di arrivare a screenare almeno l’80-85% della popolazione. In questo momento non siamo arrivati a questa quota. L’unico sistema per raggiungere il target è stabilizzare lo screening, almeno fino al 2030. La fascia di popolazione” interessata è quella “dove c’è maggiore prevalenza”, cioè in chi ha più “di 50 anni. Questo è il sistema più veloce perché le regioni si possono organizzare meglio – spiega Gardini – Non possiamo continuare a prorogare di anno in anno e definire lo screening sperimentale. Stabilizzando lo screening” inoltre “si possono effettuare campagne nazionali: in questo momento vengono fatte a livello regionale, differenti l’una dall’altra. Questo non è il problema, ma una campagna nazionale avrebbe veramente un impatto maggiore. Bisognerebbe poi coinvolgere anche le farmacie e i medici di famiglia”.
In questo momento le persone diagnosticate con infezione da virus dell’epatite C “sono rimaste davvero poche – osserva Gardini – Lo sappiamo perché i nostri associati, al 90-95% sono già stati tutti curati. Probabilmente c’è uno zoccolo duro di persone che ancora non vanno a curarsi perché, probabilmente, si ricordano delle vecchie terapie, davvero molto pesanti, e quindi sono probabilmente mal informati, oppure” hanno “informazioni fuorvianti. Probabilmente vivono nella inconsapevolezza del danno a cui possono andare incontro. Questo è il vero problema. Noi lavoriamo tantissimo per informare del pericolo di un’evoluzione in cirrosi, tumore e tutte le complicanze che ci possono essere. Chi è in cura – conclude – sicuramente non ha grossi problemi perché” le terapie disponibili hanno “davvero modestissimi effetti collaterali”.
Fonte: adnkronos.com/salute