In Italia ci sono oltre mezzo milione di positivi all’HCV che non sanno di essere infetti, ritardando così l’accertamento delle diagnosi e terapie. Una criticità acuita dall’inaccessibilità per la Sardegna al fondo innovativo per lo screening presente in altre regioni d’Italia.
Per colmare questo gap la Regione Sardegna, nell’ambito della discussione alla finanziaria regionale ha presentato un emendamento a sostegno del capitolo “screening HCV” chiedendo che venga istituito un fondo con una dotazione di 3 milioni di euro da destinarsi nel 2022, 2023 e 2024 proprio per la diagnosi di HCV: “Questo – ha dichiarato Ivana Maida, dell’Università di Sassari -, è importante perché permetterà a tutte quelle realtà che attualmente non hanno la possibilità di fare screening di poter accedere facilmente alla diagnosi di epatite C”.
“Nonostante tutte le limitazioni e carenze in Sardegna fino ad ora abbiamo trattato con i farmaci antivirali oltre 10000 pazienti – ha aggiunto Luchino Chessa, Responsabile SS Malattie del Fegato dell’AOU di Cagliari -. Ipotizzando una media di persone infette con HCV del 2% è plausibile aspettarci ancora circa 20000 positivi di cui una buona parte inconsapevoli. Considerando l’età media molto elevata dei sardi e la prevalenza di individui HCV positivi nelle popolazioni più anziane potrebbe essere utile estendere lo screening in popolazioni anche alla fascia dei nati dal 1949 al 1968, ovvero di età compresa tra 72 a 51 anni”.
“I dati attuali- prosegue Chessa- ci dicono che il numero di tossicodipendenti HCV positivi e viremici sembra molto inferiore a quello che veniva stimato. Sicuramente molto deriva dal fatto che negli anni tanti utenti sono stati sottoposti a terapia antivirale e che i PWDU più giovani non usano droghe in vena. Tutto ciò in ogni caso non deve far abbassare la guardia, è necessario dunque favorire le campagne di screening e di eradicazione dell’epatite C nella popolazione a rischio come i PWID, ogni caso un serbatoio per la popolazione generale. Da qui sono nati vari progetti di linkage to care tra epatologi/infettivologi e le realtà dei Ser.D. e delle carceri, che vanno strutturati e potenziati”.
Tra le problematiche presenti nel territorio grava in particolare l’assenza di un registro epidemiologico delle malattie del fegato e delle infezioni da HCV, di centri specialistici che si occupano del trattamento dell’epatite C, mancanza di epatologi sul territorio nei presidi ospedalieri minori, come ricordato da Chessa: “Bisogna agire implementando i pochi centri epatologici presenti in Sardegna, attualmente presso l’AOU di Cagliari e Sassari, la AOB e il PO SS.Trinità di Cagliari, il S.Martino di Oristano, il PO Nostra Mercede di Lanusei e infine l’Ospedale Paolo Giovanni II di Olbia, oramai in carenza di organico, e introdurre lo specialista epatologo sul territorio e nei presidi minori. È inoltre necessario – conclude – mettere in funzione una rete tra i pochi centri e gli ambulatori epatologici rimasti, e costruire un network tra centri epatologici, Ser.D. e Carceri della Sardegna e i MMG”.
Fonte: sardegnagol.eu