Secondo i registri Aifa a luglio del 2021 sono stati trattati 225mila pazienti con il virus HCV, ma sarebbero 280mila coloro che hanno ancora il virus senza saperlo
Quando 5 anni fa vennero approvate le nuove terapie contro l’epatite C sembrava che l’obiettivo Oms di eradicare il virus entro il 2030 fosse più che alla portata di un Paese avanzato come l’Italia.
Che tra l’altro aveva condotto una trattativa serrata con i produttori per rendere economicamente più sostenibili cure inizialmente da 50mila euro a terapia. E invece non è andata così. Secondo i registri Aifa a luglio del 2021 sono stati trattati 225mila pazienti con il virus HCV, ma sarebbero 280mila coloro che hanno ancora il virus senza saperlo.
Per far emergere questo sommerso il governo Conte II nel 2020 ha stanziato 71,5 milioni per avviare una campagna di screening che avrebbe dovuto coinvolgere la popolazione nata tra il 69 e l’89, i tossicodipendenti e i detenuti.
I massimi esperti riunti a Roma nel Convegno nazionale su “Lo screening per l’eliminazione dell’HCV in ambienti difficili” quali carceri, Serd e comunità terapeutiche, hanno mostrato che l’ultimo miglio per vincere definitivamente la guerra contro l’epatite C però stentiamo a percorrerlo.
Ad oggi su 21 regioni soltanto 8 hanno avviato l’attività di screening. Ma anche quelle più virtuose, come Emilia Romagna e Lombardia, non sono andate oltre il 5-10% di test nella fascia di popolazione interessata. Siamo insomma molto lontani da quell’obiettivo di sottoporre a screening almeno il 70% del target individuato.
Tra l’altro tra coloro che sono stati sottoposti ai test il tasso di positività è risultato essere molto basso, tra lo 0,1 e l’1%. Anche se stiamo parlando di vite umane, perché l’HCV non curato può portare a tumori epatici e forme gravi di cirrosi con alti tassi di mortalità quando le terapie consentono di raggiungere la guarigione nell’arco di 8-12 settimane.
Una campagna che va rilanciata soprattutto nei Serd e nelle altre strutture che anno in carico i tossicodipendenti, perché è proprio nella fascia di chi si inietta droghe che la prevalenza di epatite da HCV è del 40%, la più alta in assoluto, anche se confronta con quella della popolazione carceraria.
Dove la situazione è però drammatica, con un sovraffollamento che in alcuni istituti penitenziari supera il 150%, dove c’è un poliziotto ogni 1,6 detenuti contro una media europea di 3,9, mentre poi si lesinano i medici, che sono uno ogni 315 detenuti, il doppio di quello che viene considerato un livello ottimale in altri Paesi Ue.
In questo contesto nell’ultimo anno si è contato un suicidio ogni 5 giorni e riuscire a completare la campagna di screening resta un’impresa, “anche perché i pochi medici sono subissati di incombenze burocratiche, mentre resta la difficoltà di seguire i pazienti nei loro trasferimenti o una volta tornati in libertà “, spiega Giampiero d’Offizi, organizzatore del meeting, direttore del dipartimento malattie infettive dello Spallanzani e presidente del Lazio della Simit, la società scientifica di virologia.
Anche se le esperienze messe a confronto tra chi poi opera sul campo hanno mostrato una incredibile aderenza alla terapia, tanto tra i tossicodipendenti che tra i detenuti.
“Probabilmente a rallentare la campagna di screening ha contribuito il Covid, che ha finito per tenere lontana molta parte della popolazione dalle strutture sanitarie.
Ma le campagne di vaccinazione, compresa quella antinfluenzale, possono rappresentare un’occasione per contattare e testare la popolazione target”, commenta Massimo Andreoni, co-organizzatore dell’evento e direttore scientifico della Simit.
Anche se una riflessione la apre D’Offizi, affermando che “ i dati mostrano come in futuro si potrebbe pensare anche di concentrare gli sforzi nelle popolazioni dei detenuti e dei tossicodipendenti, dove si registra un tasso di positività molto più alto di quello riscontrabile nelle fasce di popolazione generale individuate come target per lo screening”.
Restringere il campo al bersaglio grosso per eradicare un virus, che non curato può ancora far male.
Fonte: lastampa.it