Il SerD di Mantova è attivo con un servizio dedicato agli utenti. Obiettivo: intercettare possibili casi di infezione e proporre il trattamento. E provare così a eradicare il virus
Chiudere il cerchio. O meglio, raggiungere l’obiettivo ambizioso di eliminare l’infezione da Hcv (il virus dell’epatite C) entro il 2030, come sancito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mantova si sta impegnando a farlo, mettendo in campo energie e competenze. In un territorio dove già molto è stato fatto in termini di screening, si è voluto organizzare un servizio di prossimità, che porta il test dove ce n’è più bisogno, raggiungendo quelle popolazioni che sono rimaste fuori dalle campagne precedenti.
“La collaborazione con la struttura complessa di Malattie Infettive dell’Ospedale di Mantova ha sempre funzionato molto bene e sono state molte, negli scorsi anni, le persone che dopo aver fatto il test Hcv presso il SerD ed essere risultate positive, sono state trattate con i farmaci di nuova generazione ottenendo nella stragrande maggioranza dei casi la guarigione”, racconta Marco Degli Esposti, Direttore del SerD di Mantova.
Nonostante questa stretta collaborazione alcuni utenti del SerD inviati per presa in carico presso l’ambulatorio di Malattie Infettive non si sono presentati o non hanno proseguito gli accertamenti e le cure, principalmente in ragione della loro condizione di disagio.
Ecco quindi che ad aprile 2022 è nato EpatoSerD, un ambulatorio dedicato allo studio delle malattie del fegato rivolto proprio agli utenti del SerD. “Nel giro di pochi mesi siamo passati dall’idea alla sua realizzazione, grazie alla Direzione Aziendale che ha creduto nel progetto: abbiamo acquisito un ecografo, i test HCV-reflex e la possibilità di somministrare i trattamenti direttamente nella nostra struttura”, racconta Giorgio Perboni, medico del SerD, responsabile di questo progetto: tre fattori molto importanti.
Grazie all’ecografo, infatti, è possibile valutare lo stato di compromissione del fegato e quindi da un lato orientare la scelta della terapia, dall’altro identificare i malati più gravi, che hanno bisogno di un monitoraggio periodico se non di una presa in carico gastroenterologica; grazie al test HCV reflex, poi, con un solo prelievo si ottiene la diagnosi completa e il paziente, se candidato alla terapia, può cominciare il trattamento già dalla visita successiva; terapia, infine, che può essere somministrata direttamente al SerD grazie alla presenza di un medico esperto che ha la possibilità di prescivere farmaci specifici.
Il tutto facilitato dal servizio di fornitura diretta dei farmaci al SerD, grazie alla collaborazione con la farmacia ospedaliera.
“Abbiamo trattato già 31 pazienti, a partire dall’estate 2021 e ce ne restano in elenco una decina, in media quindi trattiamo circa due pazienti al mese. La maggior parte degli utenti del SerD con epatite C è già stato trattato ma continuiamo a trovare dei nuovi casi di infezione, sia pure numericamente ridotti. E questo dimostra che il progetto funziona: ci sono persone che frequentano il nostro centro per cui recarsi in ospedale rappresenta una barriera”, sottolinea Perboni.
Da indagini condotte a livello nazionale è noto che solo il 20% dei tossicodipendenti fa il test Hcv.
Ecco perché i SerD rappresentano un luogo chiave per portare a termine lo screening che il Ministero della Salute ha lanciato nel 2020 e che è rivolto a tutta la popolazione nata fra il 1969 e il 1989 e alle popolazioni a rischio senza limite di età, come tossicodipendenti, popolazione carceraria, lavoratori del sesso.
“Sempre con l’intento di andare a scovare i casi ancora non rilevati di infezione da Hcv, abbiamo stabilito un collegamento con la Casa Circondariale di Mantova, grazie alla collaborazione con Laura Mannarini, Responsabile medico, dove viene proposto il test Hcv e, nel caso di positività, il detenuto viene portato al SerD per ecografia e, se indicata, per la terapia”, racconta ancora Perboni.
Insomma, l’azienda sociosanitaria territoriale di Mantova ha preso sul serio l’obiettivo dell’Oms e ha deciso di andare verso i potenziali pazienti piuttosto che aspettare che questi si rivolgessero al servizio. “Gli utenti che frequentano le nostre strutture sono molto fidelizzati, vengono anche più volte a settimana, ed è quindi più semplice per noi poter proporre il servizio e ottenere un buon risultato”, conclude Perboni.
“Perché l’ambulatorio funzioni, però, è indispensabile che ci siano le competenze necessarie per poter fare le ecografie e somministrare le terapie”. Il 2030 si avvicina e se si vuole raggiungere l’obiettivo è tempo che la formidabile opportunità garantita dai nuovi farmaci antivirali sia colta grazie a un’organizzazione capace di raggiungere chi ancora non è stato raggiunto. E chiudere così il cerchio.
Fonte: repubblica.it