PERCHÈ ELIMINARE IL VIRUS?
Eradicare l’epatite C nel nostro Paese è possibile e la ricetta non è mai stata così semplice. Grazie all’avvento degli antivirali ad azione diretta, farmaci che consentono di eliminare il virus in poche settimane, oggi l’unica vera sfida per raggiungere l’obbiettivo eradicazione è quella di ricercare le persone positive ma che non sanno di esserlo. Il famoso “sommerso”. “Lo screening dell’epatite C mirato a quei gruppi di popolazione, dove, conoscendo la storia naturale della malattia, si presume ci sia la maggior parte delle infezioni non diagnosticate, si rivela, sulla base di modelli matematici, la strategia migliore per l’Italia sotto il profilo costo-efficacia”. È quanto dichiara l’Istituto Superiore di Sanità in uno studio condotto in collaborazione con La Facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata e con esperti internazionali di stime globali dell’infezione HCV del Polaris Observatory USA, e pubblicato sulla prestigiosa rivista Liver International.
GLI ANTIVIRALI FUNZIONANO
Sino a pochi anni fa l’unica cura per l’epatite C era rappresentata dalla somministrazione di interferone e ribavirina. Combinazione che garantiva un successo in meno della metà dei casi e con pesanti effetti collaterali. La situazione si è sbloccata con l’avvento degli antivirali ad azione diretta, molecole che hanno rivoluzionato il trattamento dell’epatite C. Grazie ad essi -le combinazioni approvate ad oggi da AIFA sono 9- il virus può essere eliminato in oltre il 98% dei casi. Trattamenti altamente efficaci, con pochi effetti collaterali e della durata di poche settimane (la cura più breve arriva a durare solo 8 settimane).
CERCARE I PAZIENTI
Se la sfida da un punto di vista scientifico -e anche sul fronte dei costi- è vinta, ora tutto si gioca sull’individuazione delle persone da curare. Secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, presentato allo scorso congresso AASLD, gli italiani da trattare sarebbero ancora 300 mila. Come intercettarli? La risposta si chiama screening, ovvero sottoporre particolari “fette” di popolazione al test per individuare la presenza del virus. “La strategia basata sullo screening graduato, che identifica prima le popolazioni giovani (coorti di nascita 1968-1987) a rischio di trasmissione del virus, per poi espandersi a quelle più anziane (coorti di nascita 1948-1967) prima che la malattia progredisca, ha prodotto il profilo di costo-efficacia più favorevole per l’Italia -spiega Loreta Kondili, ricercatrice del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità, responsabile scientifico dello studio- ed è risultata dai modelli matematici la più efficace e sostenibile al fine di aumentare le diagnosi ad un costo nettamente inferiore rispetto allo screening universale. E proprio grazie a questo studio, oltre che al lavoro di società scientifiche e associazioni di pazienti e all’impegno della politica, è stato approvato nel decreto Milleproroghe un emendamento che stanzia 71,5 milioni di euro per lo screening gratuito di particolari gruppi di popolazione in Italia per il biennio 2020-2021”.
CATEGORIE A RISCHIO
“Nell’ambito delle coorti suddette, un discorso a parte va fatto per le “key population”.“In questi casi, deve essere applicata la strategia “testare e trattare” piuttosto che quella del testare per coorti di nascita – va avanti l’esperta – Infatti, senza includere questi gruppi in primis in specifiche politiche di screening, ci si aspetta che il carico di infezione e di malattia continui ad aumentare. Si calcola che vi siano circa 150 mila infezioni tra i tossicodipendenti e circa 80.000 tra chi ha fatto trattamenti estetici prima del 2000, per un totale di circa 250-300 mila infezioni “sommerse” includendo anche chi ha contratto l’infezione dal dentista o da interventi chirurgici senza, tuttora, saperlo”.
Fonte: fondazioneveronesi.it